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CERTOSA DI SAN GIACOMO

      Fondata tra il 1371 ed il 1374 da Giacomo Arcucci, Gran Camerario e segretario della regina Giovanna I d’Angiò, protettrice e benefattrice del monastero, il complesso fu incendiato a seguito delle incursioni del corsaro Dragut (1553). Altri saccheggi seguirono nel 1558 e nel 1563. Nel 1808, in seguito al decreto di Giuseppe Bonaparte, che prevedeva la soppressione dei conventi e l’incameramento dei loro beni, i Certosini abbandonarono il cenobio che, nel 1815, fu adattato a bagno penale, poi divenne ospizio per invalidi e dopo il 1860 fu sede di una compagnia di disciplina. 

 

        L’analogia con la Certosa di San Martino (completata nel 1368) non è da ricercarsi nella configurazione formale, quanto nella vicenda storica dei due monasteri, nelle fonti di finanziamento, nella trasmissione di alcuni suggerimenti, e presumibilmente, nello scambio di maestranze, specie per quanto riguarda la fase barocca. 
        La Certosa di Capri si uniforma più che altro alle piante dei cenobi cistercensi sorti nell’Italia meridionale (Montecasssino, Padula), costituite da due blocchi essenziali: casa alta (chiesa, refettorio, chiostro, sala del capitolo, appartamento del priore) e casa bassa (foresteria, locali di servizio, botteghe per lavori artigianali e per la lavorazione dei prodotti agricoli).


      Di particolare pregio l’affresco della lunetta della Chiesa di San Giacomo, datato 1371 ed eseguito dal pittore fiorentino Nicolò di Tommaso, attivo a Napoli in quegli stessi anni. 

 
Il portale di San Giacomo: "tuffo" nella Capri angioina

        Soffermiamoci sul portale e sull'affresco della chiesa di San Giacomo, non sfuggiti all'attenzione degli storici dell'arte, che costituiscono, senza alcun dubbio, quanto di più importante vi è in tutta la Certosa. 
        La lunetta, datata 1371 e sormontata da un arco ogivale in marmo di puro stile trecentesco, è opera di ignoto autore, nel quale sono manifesti influssi verso i modi più aggraziati e composti del pittore fiorentino Niccolò di Tommaso, attivo a Napoli in quegli stessi anni. L'affresco, interessante per l'eleganza del disegno e l'armonia del colore, manifesta chiaramente lo spirito degli artisti dell'epoca, attratti dalle bellezze della forma rivelate loro da Giotto. 
        La lunetta raffigura la Vergine in trono con bambino, circondata a sinistra da tre figure di uomini e a destra da tre donne. A sinistra, seguito da due gentiluomini, è il Conte Giacomo Arcucci, genuflesso nell'atto di aprire alla Vergine il modello della Certosa. A destra appare la regina Giovanna I, protettrice e benefattrice del monastero, chiaramente identificabile per la corona regale che ha sul capo  e per i gigli d'oro angioini che tempestano la lunga veste azzurra. Accanto alla Vergine appaiono San Brunone e San Giacomo i quali, rispettivamente, poggiano una mano sulla spalla della regina e del conte.

        Nell'angolo interno dell'arco ogivale è dipinto lo Spirito Santo sotto le sembianze della colomba; intorno corrono angeli con strumenti musicali. Alla sommità dell'arco è scolpito un Agnus Dei.  Nel mezzo dell'architrave appare uno stemma angioino d'azzurro disseminato di gigli d'oro, elementi visibili sulla veste regale di Giovanna I. Tale stemma è un elemento fondamentale, insieme agli altri particolari iconografici che emergono dall'affresco, per individuare l'arco cronologico che va dal 1371 al 1374, nel quale il complesso conventuale ispirato al modello della Certosa di San Martino a Napoli, fu edificato. 
        Il committente fu certamente Giacomo Arcucci, conte di Minervino e signore di Altamura, regio consigliere, camerario di Sicilia ed infine segretario di stato della regina Giovanna I.

 (testo di Antonia Tafuri - foto di Marco Amitrano)