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Associazione
Culturale e Casa Editrice - Via San Costanzo, 8
80073 Capri Italy - Email info@oebalus.org |
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La
lunga e contorta catena di avvenimenti e mutamenti che caratterizza la
seconda metà del ’900 sul piano scientifico ed ideologico ha comportato,
elemento più volte deprecato, uno spiccato senso di autonomia,
se non di vero affrancamento, dalla tradizione, considerata sempre più
inutile nel complesso di una società che tra incredibili conquiste
scientifiche e progressi prima inimmaginabili, più volte si è
lasciata andare al mito ingannevole di un presente autosufficiente, ormai
definito e privo di debiti verso il passato. Contro generazioni più fresche che si sono formate e tuttora si formano con una conoscenza del passato ed un rispetto verso di esso limitati a confronto delle generazioni culturalmente formatesi prima della fatidica data del ’68, si alza spesso la voce di quanti, denunciando l’insensibilità e la scarsa conoscenza della storia dei padri, ne vogliono riproporre, talvolta con irriducibile piglio, l’utilità e l’attualità. E quello che dovrebbe essere uno stimolo ad una comprensione viva ed intelligente della storia si risolve in atteggiamenti reazionari che assumono spesso come slogan espressioni appartenenti a climi ed ambienti totalmente superati: "la storia si ripete", "la storia è maestra di vita", "il passato è sempre attuale", "il mondo è stato sempre quello" etc. A questa tendenza che mira a riproporre lo studio del passato come modello da seguire si è contrapposta, segnatamente nell’ultimo ventennio, una tendenza storiografica che ha abbattuto la retorica dell’eredità si e posta di fronte alla storia, non con la riverenza e l’ossequio, ma con i mezzi della critica, liberi da ogni fascinazione proveniente dal tempo passato, talvolta anche dissacrando. Sarebbe un atto di presunzione tentare di sintetizzare lo spirito innovativo, sorretto da rigorosa disciplina metodologica, che caratterizza una buona parte della storiografia italiana degli ultimi trent’anni, ma vorrei qui richiamare soltanto quanto lo storico Aldo Schiavone ha scritto nella prefazione della Storia di Roma di Einaudi che in questi tempi si va pubblicando e che rappresenta l’immagine vivente dei tempi nuovi della storiografia italiana: "il passato non è tracciato omogeneo che aiuti nel suo insieme a capire il presente: e non tutto il presente spiega e chiarisce l’intero passato che lo ha prodotto". Se ci rivolgiamo ad osservare la storiografia su Capri, non si può non ravvisare un cronico e, spesso voluto, attardamento dei metodi, un gap enorme rispetto ai progressi ed ai metodi in atto nel panorama mondiale e, segnatamente, italiano. Innanzitutto l’uso delle fonti: da premettere che le osservazioni di chi scrive sono relative alla storia antica, ma non si esclude che diverse competenze potrebbero verificare altrettanto in altri ambiti cronologici. Nell’uso delle fonti sulla storia antica dell’isola si verifica una diffusa tendenza ad assumere come insindacabili autorità gli studi che vanno dal Settecento alla metà del nostro secolo, con un’inevitabile refrattarietà verso le fonti primarie. In altri termini agli storici antichi, oggi sempre più in edizione economica, si preferiscono gli studi sette-ottocenteschi e/o locali sicuramente più appetiti dagli interessi bibliografici antiquari. I guai e le distorsioni avvengono quando, nel voler contribuire alla conoscenza della storia dell’isola, si richiamano contenuti di testi passati che dovrebbero oggigiorno ricevere solo la cura e l’interesse della loro conservazione materiale e null’altro: sarebbe come voler studiare lo sviluppo economico dell’antica Ercolano sulla base della visione neo-classica di Winckelmann! Ogni epoca scrive e riscrive la sua storia secondo i mezzi metodologici che possiede ed i propri schemi ideologici: Capri, salvo qualche rara eccezione, non è per niente oggetto di un’analisi storica al passo coi tempi. Ogni indagine parte sempre dall’autorità della tradizione erudita e positivistica dei clue secoli scorsi e puntualmente si va a leggere la storia dell’isola con gli stessi occhiali con cui l’hanno vista dal Settecento fino alla metà del nostro secolo. Studiare la storia di Capri oggi più che mai significa scavalcare, liberarsi dal peso di una visione erudito-antiquaria, frutto normale e rispettabile di epoche passate ma oggi insufficiente e spesso ostacolante una corretta e intelligente comprensione della fenomenologia storica. La lettura di fonti di prima mano non ha, tuttavia, risolto, quando e stata operata, tutti i problemi, spesso inestricabili, che la storia propone: invece di ricorrere all’ipse dixit, sarebbe buona norma interrogarsi di più sull’ambiente storico-ideologico di chi tramanda la notizia, saper capire fino a che punto ci troviamo di fronte a storici o archeologi di professione (spesso si richiama l’autorità storica di viaggiatori e cronachisti) e quale ne è la metodologia di base. Ma soprattutto una storiografia all’avanguardia dovrebbe operare nel senso di legare la storia dell’isola più strettamente ai fenomeni ed alle dinamiche storiche-economiche della terraferma, superando quella romantica isolanità che vede Capri come unicum nei costumi, nella lingua, nei fenomeni storici. Si avverte, insomma, l’esigenza di una storiografia più professionale che ampli i suoi orizzonti proprio per meglio comprendere la storia dell’isola. Tutto questo anche per arginare la tendenza dominante della cultura caprese nella quale si assiste sempre e comunque ad una fruizione gastronomica della storia, con una analisi indirizzata a suscitare sapori, suggestioni, visioni, recuperi memoriali e appagamento di curiosità personali. Bisogna, in altri termini, fare storia in maniera diversa e non ricorrere sempre alla rievocazione aneddotica che vede l’interesse concentrato solamente su abitudini di vita quotidiana di frequentatori dell’isola, assunti come soggetti unici attivi della storia dell’isola: di fronte al persistere di una concezione della storia come determinata da azioni private si dovrebbe molto riflettere. La storiografia, soprattutto oggi, ha il compito di sollevare problemi ed incertezze, di impiantare rigorose indagini miranti a cogliere, più di ogni altro aspetto, il tessuto socio-economico dello sviluppo storico: invece si continua ad insistere sul biografismo di carattere antiquario, sulle curiosità personali, su un tipo di storiografia privatistico che "scioglie i problemi nella narrazione", approdando sempre e comunque ad una visione oleografica della complessa realtà storica. I tempi, pertanto, appaiono maturi per inaugurare una nuova storiografia, al passo dei tempi che viviamo e con le metodologie attuali, senza più spinte retroattive e conservative. Ma per creare tutto questo occorrerà forse demolire più di un mito, verificare le nostre effettive competenze ed accettare così le regole del gioco, come le definì nel 1974 l’illustre storiografo Arnaldo Momigliano. Forse non tutti accetteremmo l’imperativo cosi netto di vivere totalmente il nostro presente, naturalmente nei suoi lati positivi e progressisti. Ma l’auspicio è d’obbligo... Eduardo Federico |