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IL CAOS VOLUTO
 
Degrado e progettazione ambientale a Capri

        C’è solo l’imbarazzo della scelta: paesaggio, inquinamento, equilibri dell’ecosistema, aspetti socio-economici del territorio etc. L’ambiente in Campania, e non solo in questa Regione, raccoglie talmente tante problematiche che riunirle intorno ad un unico denominatore comune diventa complesso e riduttivo; esse si influenzano e si intrecciano tanto che trovare la soluzione al problema ambiente significherebbe rivoluzionare l’ottica stessa dello sviluppo e della programmazione.
        C’è anche l’imbarazzo della scelta di quale sia il livello istituzionale capace di progettare e programmare. Il caos in cui regnano oggi le Istituzioni, le innumerevoli norme, le deleghe e sub-deleghe che dovrebbero regolamentare tale programmazione, o sono disattese, senza alcun intervento degli organi competenti, oppure non forniscono quegli strumenti legislativi ed economici per promuovere una corretta salvaguardia e valorizzazione delle risorse ambientali e culturali. In un contesto regionale dove le inadempienze degli organi istituzionali sono evidenti, l’assenza di pianificazione si riflette anche sul contesto sociale e territoriale delle Isole, e quindi anche di Capri.
        Ormai il degrado del territorio, il saccheggio dell’ambiente naturale, il dilagare dell’abusivismo e dell’inquinamento sono sotto gli occhi di tutti. Questo degrado è il fallimento di un modo di concepire lo sviluppo urbanistico, fondato sulla legittimazione della rendita fondiaria, nel senso più lato. Non esistono oggi leggi fondamentali sul regime dei suoli e sugli espropri, leggi quadro per la difesa del suolo, per la tutela del territorio naturale e del mare, che possano chiamarsi tali. In Campania non esistono ancora leggi per l’istituzione di aree protette, se non quella dell’area sorrentino-amalfitana.
        Questo vuoto legislativo si riflettete, di conseguenza, non solo sulla Pianificazione Territoriale, ma anche sui suoi livelli intermedi. L’assenza di un Piano Paesistico per l’Isola di Capri e l’esempio della più scandalosa latitanza delle Istituzioni: in questo modo si continua a dare spazio, paradossalmente legittimandola, ad una speculazione lenta, inesorabile ed insidiosa, capace di sconvolgere l’unicum naturale e modificare in alcuni casi, anche radicalmente, le forme del paesaggio e l’assetto del territorio. D’altro canto il cittadino non riesce ad avere risposte concrete alle sue domande ed ai suoi problemi quali la casa, i servizi, i trasporti, ma anche un ambiente pulito e non inquinato.
        Una risposta a questa problematica è la pianificazione, che nell’accezione odierna del termine deriva da quella componente dell’evoluzione culturale che, alla ricerca sul che cosa fare per risolvere un dato problema, ha affiancato quella su come e quando farlo. Pianificazione, ma anche partecipazione: la partecipazione fra autorità pubblica e privati nella gestione e nella programmazione, la partecipazione del cittadino alle scelte, una autorità pubblica che difenda primariamente gli interessi collettivi. La capacità di pianificare sta nel cogliere nel suo insieme il contesto territoriale, studiarlo, analizzarlo, in una sorta di monitoraggio tale da fornire quelle risposte concrete, che sono poi le cose che la gente vuole. Se manca per ora questa capacità è perché trionfa sempre la logica dello sfruttamento delle risorse: spremere fino all’osso il bene, per succhiarne la rendita economica. Questo fino a quando non compare il marciume affaristico che si traduce in clientelismo e malaffare, e porta poi ad un degrado, questa volta, delle Istituzioni.
        Capri non si discosta da questa analisi. Non per fare mera polemica, ma in fondo basta osservare questo contesto sociale ed ambientale per rendersi conto di come vanno le cose. Manca sì chi deve pianificare, manca però anche il cittadino. Il suo distacco dal Palazzo è forte. Si lamenta, protesta, ma non riesce poi a tradurre in una concreta battaglia le sue domande, anche perché le Istituzioni lo stancano e volutamente lo allontanano.
        Nel campo della progettazione urbana, poi, non si è condotto fino ad oggi una ricerca che abbia voluto inquadrare il problema nel suo insieme: si è instaurata o una parzializzazione degli interventi, lasciando all’istinto del progettista il suo metodo di interpretazione o, addirittura, affidando al singolo cittadino la scelta di intervenire e di modificare, per esempio, le linee del paesaggio, producendo il più delle volte, solamente imitazione. Ecco, quindi, che si è andata perdendo quella omogenea capacità di segnare il paesaggio, per lasciare il posto, invece, alle continue e, a volte, astruse stratificazioni architettoniche: il nuovo finto ottocento, il formalismo di maniera, lo pseudo stile caprese, solo per citarne alcune, che producono la modificazione delle linee del paesaggio delle cortine edilizie, e quindi della storia dello sviluppo della città. Non e più possibile oggi leggere la storia della crescita urbana dell’isola.
        Il fallimento di questa politica è concentrato soprattutto nel fatto che, pure esistendo a Capri un Regolamento Edilizio che impone delle norme, orientate nella difesa del degrado urbano, soprattutto per quanto riguarda l’arredo, oggi si assiste alla sistematica trasformazione e perdita delle forme della città, in quanto non vi è il supporto di un Piano che indichi una metodologia delle possibili trasformazioni non solo fisiche, ma anche formali. Se, attraverso un forte dibattito culturale, si avessero capacità e voglia di sollevare il coperchio della stagnazione e dello immobilismo si comincerebbe, forse a vedere cose nuove sull’isola.
        Partendo dalla nuova Pianificazione Urbanistica, per citare solo un problema che potrebbe essere riproposto a Capri nei prossimi anni, è possibile instaurare un nuovo processo di formazione che, sostituendo il progetto di piano, arrivi alla definizione di quelle scelte strategiche, che sono poi il fondamento della nuova pianificazione, in cui vengono introdotte tre nuove fasi di approccio scientifico: una di previsione a lungo termine, una a medio e una operativa a breve. Esse si traducono nei tre livelli descritti da F. Stuart Chapin e E.J. Kaiser in questi termini: piani dell’uso del suolo, dove vengono messe "a fuoco le linee di una futura forma-obiettivo a lungo termine (20-25 anni)"; il piano di sviluppo dove "è focalizzato un programma di interventi a tempi brevi (5-6 anni)" ; ed il piano annuale di miglioramento delle attrezzature, dei controlli e dei servizi, centrato su di un programma a breve. In questa fase diventa fondamentale il ruolo propositivo e di suggerimento promosso all’interno della società che definisca le linee strategiche delle modificazioni territoriali, così come eventualmente delle sue non-alterazioni.
        Come si era accennato poco sopra, il cittadino, invece, viene espropriato della propria capacità di essere presente in ogni momento della vita sociale. Non gli vengono forniti gli strumenti guida su cui può fare riferimento, non gli si danno le occasioni per essere momento propulsore di decisioni. In altre realtà sociali il cittadino viene coinvolto in tutti le fasi in cui la città prende nuove forme, decide le sue trasformazioni o anche la sua salvaguardia. Oggi, per esprimere le proprie idee, gli rimangono solo gli strumenti della petizione popolare, espressione della protesta e non della proposta.
        Come diceva D. Field la partecipazione è "un processo di contrazione", che dovrebbe soddisfare i bisogni sociali. In questo quadro forse la nuova legge delle Autonomie locali, la legge 142, potrebbe, dico potrebbe, perché anche questa manifesta evidenti limiti, portare i cittadini nel processo decisionale, denominato appunto partecipazione. È nella volontà di una Comunità fare queste scelte, non certo nell’animo di una classe politica che ha vissuto per decenni nel suo ruolo delegato di interprete dei bisogni della gente.

         Lorenzo Tani