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Associazione
Culturale e Casa Editrice - Via San Costanzo, 8
80073 Capri Italy - Email info@oebalus.org |
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Un primo dato è l'evidenza: la chiusura degli alberghi è avvertibile a
vista d'occhio, anno dopo anno. Il fenomeno, di difficile interpretazione,
può essere correttamente affrontato operando un'analisi approfondita sui
dati forniti dall'Azienda Autonoma dell'Isola di Capri. Partiamo con ordine:
dal 1964 (anno in cui si è avuto il maggior numero di esercizi alberghieri),
al 1990 si è passati rispettivamente da 98 a 60 alberghi con una perdita
netta di circa il 40% degli esercizi, ed i posti letto (indici di capacità
ricettiva) sono passati da 3316 a 3327, mostrando un'apparente stabilità
ed un altrettanto apparente guadagno minimo di capacità ricettiva. Attenzione: se nel periodo considerato c'è stato un calo degli alberghi netto e costante, lo stesso non si può dire per i posti letto, perché (vedi grafico 1) si è assistito ad una fase di espansione molto marcata della ricettività soprattutto negli anni 1968-1970 e negli anni 1979-1985, dove con 3683 posti letto Capri ha visto la massima ricettività; risulta inoltre evidente che le unità esistenti sono mediamente più grandi di quelle di 25 anni fa. Un altro dato importante è che le chiusure colpiscono le fasce di imprenditoria più deboli, corrispondenti ad esercizi di categoria inferiore: infatti (vedi grafico 2) dal 1964 al 1985 la fascia locande-IV categoria è passata da 46 esercizi con 844 posti letto a 24 esercizi con 453 posti letto, rimanendo inalterata la rimanente fascia III, II, I categoria lusso con 52 esercizi ed un sensibile aumento dei posti letto; nel 1990 la fascia locande-IV categoria, presumibilmente individuata con la nuova denominazione 1 stella, conta solo 13 esercizi con 238 posti letto. L'interpretazione di questi ultimi dati è molto difficile in quanto si tratta di fenomeni osservati in tempi molto distanti fra loro. Ma il fatto più evidente è la perdita netta di diversificazione dell'offerta alberghiera. Infine c'è da notare che i posti letto sono sfruttati in modo non adeguato e quindi risultano poco produttivi: la grande capacità ricettiva, al 1990, di 11.214.355 giornate letto (che si ottiene considerando il totale dei posti letto disponibili in un anno), a causa della breve stagione turistica e del limitato periodo di apertura di circa 2/3 degli esercizi, si riduce a 801.790, con una perdita del 43%. La cosa ancora più indicativa è che questa residua capacità non viene utilizzata al meglio poiché, da quanto risulta sempre al 1990, il numero delle presenze e di gran lunga inferiore alla capacità ricettiva (rispettivamente 351.484 presenze su 801.790 giornate letto). Volendo ricercare le cause di queste chiusure, bisogna tener conto del fatto che Capri non ha subito crisi clamorose in questi ultimi decenni. Sarebbe lecito pensare ad un assestamento fisiologico, il che è solo in parte vero. Vediamo il perché: alla soglia dei 98 esercizi del 1964 si è arrivato dopo alcune annate, tra le quali il '58, il '60, il '62 ed il '63, non proprio floride, con il numero degli arrivi e di presenze in relativo calo rispetto agli anni passati: evidentemente le fiorenti aspettative di lungo periodo dericanti dal boom degli anni '50, si tradussero in una vivace tendenza ascendente nel numero di esercizi. Queste aspettative non furono affatto confermate dall'andamento degli arrivi e delle presenze degli anni successivi, in cui non vi sono più ripetuti i pienoni che erano stati il presupposto della suddetta espansione. Ed è in questo senso comprensibile il relativo assestamento. Il nodo della questione è individuare perché questo assestamento naturale si sia trasformato in crisi, cioè bisogna capire perché e in che modo Capri ha distrutto un patrimonio alberghiero così poderoso. Le cause sono molte, complesse, collegavate all'interazione di molteplici fattori che alla lunga hanno prodotto profondi mutamenti nell'assetto economico dell'Isola. Tentiamo di fare delle ipotesi: è degli inizi degli anni '70 il primo sentore di difficoltà perché la fine del ciclo degli anni '50-'60 imponeva un adeguamento della offerta alberghiera ai nuovi tipi di domanda turistica. In questa fase cruciale, si sovrapposero un cambio generazionale, non sempre favorevole al proseguimento dell'attività ed una fase di recessione economica dell'Italia che comporta altissimi tassi d'inflazione. La struttura è debole proprio per la sua natura: la stagione turistica breve, il basso utilizzo dei posti letto, sono fattori che comportano alti costi di gestione, e questo ha costituito un vero e proprio colpo di grazia in una fase di congiuntura sfavorevole, accentuando la già scarsa propensione ad investire di alcune fasce di imprenditoria. Conseguenza di ciò è stato un impoverimento degli esercizi e la tendenza di quella parte riluttante dell'imprenditoria alla alienazione dell'esercizio attirata dagli alti valori degli immobili, che in periodo di alta inflazione costituiscono notoriamente un bene-rifugio. L'apparente fenomeno contraddittorio di espansione della capacità ricettiva, e quindi della concentrazione in essa degli investimenti, molto probabilmente si inquadra nel tentativo di risolvere i problemi aumentando la capacità per la breve stagione, quando invece una stagione più lunga ed investimenti miglioratori avrebbero portato verosimilmente ad una situazione più solida. Nel decennio 1970-1980 hanno chiuso 14 alberghi. Stessi problemi e stesse soluzioni si sono presentate nell'ultimo decennio, dove la situazione non è affatto migliorata poiché, nonostante la riapertura con alterne fortune di qualche vecchio albergo, la parabola discendente è continuata con un'ulteriore perdita di esercizi. Anche se c'è stato un risveglio negli arrivi ed un sensibile aumento nelle presenze, si assiste alla trasformazione di alberghi in residence, multiproprietà ed appartamenti che paradossalmente costituiscono soluzioni turistiche alternative all'attività alberghiera, ma che eliminano, di fatto, la rotazione d'uso del posto letto. Tra i maggiori propulsori di queste nuove attività si individuano l'imprenditoria edile ed il suo ricco indotto che, grazie anche alle grandi e numerose commesse di questi ultimi anni, hanno assunto, di fatto, un ruolo predominante nell'economia isolana. Come si è potuto notare, tra le cause della crisi non abbiamo considerato il fenomeno degli affitti delle case private, perché questo sembra essere una conseguenza degli alti prezzi e della bassa qualità alberghiera: la casa diventa così un potente mezzo di concorrenza perché è più a buon mercato e forse perché risponde a nuove esigenze della domanda turistica. In tutto questo brilla per la sua assenza la politica delle Amministrazioni Comunali susseguitesi in tutti questi anni. Esse non hanno mai saputo incanalare l'economia alberghiera in un alveo privilegiato promovendo una stagione turistica più lunga ma anche più interessante, ponendo un freno alla chiusura degli esercizi, rendendo più vivibile e meglio fruibile l'Isola e soprattutto avendo una cura scrupolosa nella conservazione e salvaguardia del patrimonio naturale, che costituisce la materia prima dell'industria in questione. Il risvolto della medaglia è la mancanza, da parte dell'imprenditoria alberghiera locale, di una reale capacità di percepire le veloci evoluzioni della domanda turistica, le nuove esigenze di programmazione e miglioramento dei servizi offerti ed il rifiuto verso un impegno diretto nella gestione della pubblica amministrazione. Solo negli ultimi anni sembrano manifestarsi segnali di una mentalità aperta al nuovo e all'impegno nella cosa pubblica. In conclusione, in un quadro con più ombre che luci, emerge in tutta evidenza la profonda crisi di un settore; sono perciò auspicabili politiche ed interventi rigorosi tesi alla tutela ed al rilancio dell'attività, pena un irreversibile declino. Guido Borà |