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Associazione
Culturale e Casa Editrice - Via San Costanzo, 8
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"Il
mito di Capri non morirà". Questa o frasi del genere, il più delle volte lanciate con scopo sdrammatizzante o per porre fine a discussioni che sembrano eccessivamente teoriche o decisamente apocalittiche, risultano il frutto di una mentalità particolarmente diffusa nell'ambiente isolano a vari livelli. Per un verso essa può intervenire, con una punta di malcelato orgoglio, a sottolineare la superiorità delle bellezze naturali e della storia di Capri su quelle di altre località, per un altro essa diventa un motivo confortante, quasi una formula stornatrice di mali, allorché viene utilizzata dagli ambienti più svariati dell'economia isolana che comunque riconoscono il ruolo centrale dell'economia turistica a Capri. L'eccessiva fiducia nel mito Capri, che rischia di diventare un freno all'iniziativa e produrre per converso una tragica stagnazione, parte a nostro avviso da due errori di fondo: la convinzione che il mito, nelle sue più late accezioni, sia prodotto meccanicamente dalla realtà - nel caso di Capri le attrattive naturali da sé produrrebbero il mito - e che la vocazione turistica di Capri sia un dato di fatto connaturato all'Isola stessa, sempre esistito e destinato a perdurare, indipendentemente dall'impegno dell'uomo. "Un'isola buona a nulla....." Contro l'idea prefabbricata di una Capri che ha attratto fin dall'antichità il "forestiero" è sufficiente richiamare la definizione che dell'Isola dà lo storico antico Dione Cassio (II-III d.C.): "un'isola buona a nulla, famosa solo per essere stata la residenza di Tiberio". Questa definizione, tanto schietta e severa quanto misconosciuta se non ignorata dalla storiografia su Capri, sembra invece contenere filigranata la formula essenziale per una più ampia comprensione della vicenda storica dell'Isola: da un lato l'improduttività di un territorio, che per secoli ha costretto l'isola di Capri verso una economia primaria di sussistenza, dall'altra la fama "mondiale" conquistata grazie all'attenzione "esterna", grazie a chi, in termini più semplici, ha guardato con interesse alla storia ed alle figure che hanno scelto l'Isola come "un buen ritiro, la meta di un'evasione dal mondo" (G. Galasso). E' bene convincersi - se non altro perché una lettura attenta della sua storia ce lo indica - che l'Isola ha vissuto la gran parte della sua millenaria vicenda storica nella relegazione ad una economia di pura sussitenza e nel pressocché totale anonimato; questa condizione è stata vinta solo quando fattori "esterni" (a cominciare dal soggiorno di Tiberio fino all'arrivo dei viaggiatori ottocenteschi, con in mezzo il lungo "sonno" di età medioevale e moderna) hanno attivato e stimolato l'attenzione della storiografia antica e della sensibilità mittleuropea dell'Ottocento a parlare di Capri, a raggiungere Capri, a vivere a Capri, a creare il mito di Capri. Una storia "esterna". Il conseguente sviluppo dell'Isola, in termini di crescita demografica ed economica, innegabilmente ha trovato il primo stimolo essenziale e, direi, fondamentale nell'attenzione che il mondo ha rivolto e rivolge all'Isola negli ultimi due secoli. La conclusione - che è amara e tragica solo per chi ragiona in termini localistici - è che il mito Capri , nella sua complessità, non è nato come creatura doc dei Capresi, inventato ed offerto al mercato a mo' del limoncello, né si è fascinosamente sprigionato dalla bellezza dei luoghi per raggiungere le remote lande anglo-germaniche; la celebrata produttività, laboriosità ed imprenditorialità - fattori che hanno sempre in qualche modo distinto il modo di vivere "caprese" rispetto alla disincantata e "filosofica" visione partenopea della vita e dell'impegno - sono elementi che non vanno letti come atteggiamenti connessi ad un ipotetico nonché pericoloso concetto di etnia caprese, ma sono stati e si spera possano essere ancora indirizzi e comportamenti che sono nati a seguito ed intorno ad una situazione economico-sociale peculiare e privilegiata rispetto al più stretto ambito geografico del Golfo e dell'hinterland napoletano. Una situazione privilegiata, si diceva, che è nata quando a partire dall'Ottocento il flusso dei viaggiatori ha visto in Capri la meta dei suoi sogni, la realizzazione dei propri ideali, la rappresentazione concretamente geografica dei propri modelli mentali e culturali nati ben lontano da Capri ed alla cui formazione per niente hanno contribuito né l'Isola né i suoi abitanti, se non indirettamente. Spetta ora alla storiografia - quella seria, naturalmente - indagare attentamente sui motivi ed i termini in cui avvenne questa scelta. Sfuggire alla periferia della storia. Al momento ci sembra opportuno fare essenzialmente una riflessione concernente gli aspetti propriamente politici ed economici connessi al futuro dell'Isola. Se oggi si parla "caprese", si pensa "caprese", si lavora "alla caprese", si invocano scuole, un ospedale e servizi per soli 1O,54 kmq (tanto misura l'Isola!), si vive "alla caprese", con l'orgoglio più o meno di farlo, se si è creata una cultura "caprese" con annessa specifica storiografia, è importante capire che tutto questo dipende dall'immagine che l'esterno ha creato per Capri e che, per molto tempo, Capri ed i Capresi hanno saputo gestire e vivificare, uscendo dall'anonimato della storia e da forme di economia primitiva. Ed è proprio per questo ultimo punto (la gestione dell'immagine) che inevitabilmente passano le linee del futuro dell'Isola. Chi amministra ed amministrerà l'Isola, chi a vario titolo e livello vive, lavora e si impegna per quest'isola dovrà necessariamente sentirsi responsabile di fronte al mito Capri , comprendere che è nelle sue mani, nelle sue scelte, nelle sue aspirazioni la vita o la morte del mito. Oggi che si ha sempre più l'impressione che quelle forze "esterne", quelle che hanno stimolato la nascita del mito, sembrano sempre meno intenzionate a tenerlo in vita (mi riferisco alla crisi del turismo ed a un interesse sensibilmente calato per Capri a tutti i livelli), spetta a tutte le forze politiche, imprenditoriali, sindacali e culturali isolane proporsi, in un'occasione che ritengo unica nella storia dell'Isola, come forti garanti e propulsori di un'immagine che inesorabilmente declina, rigettare le politiche localistiche, ravvivare la vocazione "mondiale" dell'Isola, riproporre in maniera categorica il turismo quale perno centrale dell'economia isolana, disponendosi non tanto a preservare, per quanto possibile, il chimerico sogno di un "turismo d'èlite dei bei tempi", quanto ad accogliere le nuove istanze di un turismo che sempre più ricerca il binomio ambiente-cultura. Se si riflette sul fatto che i modelli culturali applicati all'Isola l'hanno resa famosa prim'ancora delle sue bellezze naturali, si comprenderà che il discorso culturale nell'economia di Capri non è per nulla secondario, ma strettamente legato alla sua economia direttrice. La scelta, pertanto, è inesorabilmente ridotta ad un bivio: rivitalizzare l'immagine turistico-culturale di Capri o, al contrario, ignorando la nostra storia e privilegiando l'ottica localistica, ricadere nell'anonimato e ritornare a fare parte della periferia della storia. Eduardo Federico |