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L'ALLARME NON E' SUONATO

Il turismo alberghiero: da economia centrale ad economia marginale

 
Ciò che più spaventa dell’annunciata vendita o chiusura di alberghi a Capri è il basso livello di allarme sociale che la notizia, diffusasi all’inizio dell’inverno, ha provocato tra le forze sociali e politiche capresi. Ancor più preoccupante è, poi, la completa assenza delle pubbliche amministrazioni che solo dietro sollecitazioni hanno inserito all’ordine del giorno di un consiglio comunale (precisamente al 16° posto) l’argomento riguardante la chiusura o la vendita di alberghi. La mobilitazione in atto, contemporaneamente, sulla crisi dell’edilizia la dice lunga sulla reale incidenza di questo settore nella vita economica e politica a Capri negli ultimi anni.

Cosa sta succedendo a Capri?
        Negli ultimi decenni si è assistito a Capri ad una vera e propria trasformazione genetica dell’economia e della società caprese nel suo complesso da una economia prevalentemente turistica ad una economia complessa in cui, per assurdo, il settore turistico-alberghiero è divenuto marginale.
        Negli anni '50-'60 si concludeva un ciclo che aveva portato alla trasformazione della nostra  società da una economia dove sopravvivevano ancora attività primarie, come la pesca e l’agricoltura, ad una economia quasi completamente legata all’industria turistica  con una serie di attività indotte (commercio, artigianato).
In quegli anni si registrano forti investimenti privati per la creazione o l’ampliamento di strutture alberghiere ed un incremento e consolidamento dell’occupazione nel settore turistico sia dei locali sia di un nutrito numero di lavoratori immigrati, specie dalla penisola sorrentina.
        Tipica e significatica di quegli anni era la tendenza invernale dei lavoratori nel settore turistico ad emigrare verso altre località turistiche con un positivo ritorno di specializzazione e qualificazione professionale.
        Accanto a famiglie e gruppi già  tradizionalmente impegnati nel settore turistico si affiancarono, in quegli anni, nuove figure di imprenditori che dimostrarono dinamicità, coraggio e capacità manageriale.

Perchè il giocattolo si è inceppato?
        Alla fine degli anni ‘60 la classe imprenditoriale caprese, di fronte a complesse trasformazioni del turismo a livello nazionale ed internazionale, dimostra una serie di contraddizioni interne e limiti  che si possono sintetizzare nelle seguenti  incapacità di rapporto con l’"esterno" .
        Proviamo ad elencare:
- incapacità di creare strutture  associative  solide e durature. Nel momento storico in cui si richiedeva all’imprenditoria locale una grande capacità di rapportarsi non più in termini di efficenza personale ma di organizzazione  e pianificazione della offerta e razionalizzazione dei servizi, si è continuato con il vecchio spontaneismo e con uno sterile individualismo;
- incapacità ad operare come classe dirigente non solo economica ma anche politico-amministrativa, delegando completamente il potere amministrativo-comunale a persone per lo più estranee ai reali interessi del settore, incompetenti se non addirittura portatori di interessi unicamente personali che hanno permesso e favorito scelte ed interventi sul territorio deleteri per il turismo residenziale;
- incapacità di percepire  la qualità dell’offerta non solo in termini di efficenza aziendale ma come il risultato di interrelazioni tra varie componenti, anche e soprattutto esterne all’azienda. Non si è capito cosi la fondamentale importanza per il turismo caprese del fattore ambiente, non si è percepito la necessità di tutelare elementi semplici eppure fondamentali quali la tranquillità e la vivibilità complessiva  , non si è tenuto conto che la qualita dell’offerta non può prescindere da un controllo ed un contenimento dei prezzi anche fuori dall’albergo, dall’efficenza di servizi basilari come   quelli sanitari o da un politica culturale all’altezza delle aspettative di chi frequenta o frequentava l’Isola.
        Il turismo da elemento centrale e pregnante nella cultura dei capresi, dal semplice operaio all’amministratore, è divenuto quasi una opzione rispetto a più redditizie e sicure attività. Si è avuto così una perdita di quel senso e quella cultura dell’ospitalità che erano state alla base delle fortune turustiche capresi.
        Si è assistito,  difatti, negli anni '60-'70 ad un vera e propria marginalizzazione dell’economia turistico-alberghiera,  ad una assunzione sempre maggiore di importanza ed incidenza di una proficua attività edilizia e ad un florido settore legato ad un turismo gionaliero  dalle molte sfaccettature, da quello più organizzato a quello da gita "fuori porta".
        Nel 1990 siamo arrivati così, nonostante la legge-Galasso, a circa 2000 addetti nel settore edile e nell’indotto ed ad una rete fitta e solidissima di attività commerciali,  pubblici servizi e trasporti impegnati nel settore del turismo giornaliero.

Le risposte degli albergatori
        Negli ultimi anni  le risposte interne alle proprie aziende che gli albergatori di Capri, permanendo le suindicate incapacità a rapportarsi con l’"esterno",  hanno dato  a questa situazione  sono state di due tipi:
1) molti albergatori, di fronte alle necessità di adeguamento dei  servizi e di ristrutturazione dei propri alberghi, hanno risposto con la smobilitazione pura e semplice della struttura produttiva, in alcuni casi trasformata in multiproprietà, in altri casi trasformata semplicemente in appartamenti. Questa tendenza è stata favorita, naturalmente, anche dagli altissimi valori immobiliari che hanno creato moltissime rendite immobiliari di tipo parassitario. In questa fascia rientrano qugli alberghi che ancora oggi sono indecisi se investire o meno, mantenendo in ogni caso strutture e servizi inadeguati ai nuovi bisogni e ad una nuova domanda turistica.
2) molti altri albergatori  hanno accettato, invece,  la sfida investendo anche cospicue somme in ristrutturazioni parziali o generali degli immobili. In questa fascia rientra anche chi oggi ha ristruttazioni in corso o già programmate attraverso l’accensione di mutui. Questi alberghi oggi, a fronte di spese sostenute,  si trovano ancor più in difficoltà rispetto alla contrazione della domanda e delle presenze alberghiere. In questa situazione è, inoltre, generale la tendenza a diminuire i costi di gestione, decurtando i livelli occupazionali e diminuendo, nel contempo, la qualità dei servizi.
        L’albergo a Capri, in parole povere,  non crea più  profitti tali da giustificare  impegni di qualsiasi tipo. Non è più un investimento produttivo.
        Se non si blocca questa tendenza negativa,  è probabile che dovremo assistere per i prossimi anni a nuovi annuci di vendita o di chiusura.
        Che ognuno si assuma urgentemente le proprie responsabilità per sventare una rovina che non sarà soltanto del settore alberghiero,ma coinvolgerà l’intera economia isolana.

        Riccardo Esposito